mercoledì 27 giugno 2012

THE NEWSROOM (1.01): "L'America non è il più grande Paese del mondo"




Se ne parla e se ne parlerà. La filippica di apertura della nuova serie televisiva di Aaron Sorkin, The Newsroom, è un concentrato di ciò che rende unica la sua scrittura e la sua retorica, con i suoi pregi e difetti. Sotto trascrivo (con la mia traduzione) quello che è il discorso del momento e che rimarrà, credo, una specie di epigrafe del suo pensiero. La scena di cui parlo è nota come quella de  “l’America non è il più grande Paese del mondo”.  
Per gli europei, e per gli altri cittadini del globo, l’affermazione che l’America è il più grande Paese al mondo (e non parliamo di estensione geografica chiaramente) fa un po’ sorridere ogni volta che viene pronunciata, segno di una certa megalomania, egocentrismo, ignoranza e ingenuità del popolo a stelle e strisce. Eppure è un leit motiv che ritorna, e quanto è radicato lo esprime bene la scena scritta da Sorkin per il pilot di The Newsroom, dal titolo “We just decided to” (“Abbiano solo deciso”) , il cui senso è, da una battuta che viene pronunciata verso la fine della puntata, che essere buoni giornalisti hanno ad un certo punto semplicemente solo deciso di esserlo.
Il protagonista principale della serie, Will McAvoy (Jeff Daniels), giornalista televisivo demotivato da tempo, è molto amato perché, dicono, è come il comico Jay Leno, uno neutrale che non dà fastidio a nessuno. Si trova davanti a degli studenti universitari, in mezzo a un dibattito fra due rappresentati degli opposti partiti politici. Ad un certo punto una studentessa si alza e chiede di dire perché l’America è il più grande Paese del mondo. Il democratico risponde che i motivi sono la diversità e l’opportunità, il repubblicano risponde che lo è per la libertà e ancora la libertà. Il professore che fa da moderatore chiede a Will di rispondere. Lui si tiene su blande risposte dando ragione a entrambi, ma viene pressato a dare una risposta autentica, una risposta umana.
E lui scoppia:
Non è il più grande Paese del mondo, Professore. Questa è il mia risposta.
C’è lo shock generale. E continua smontando rapidamente le affermazioni dei due contendenti, dicendo alla democratica che alla gente loro non piacciono perché si credono tanto intelligenti, ma perdono, e deridendo il repubblicano perché cita la libertà come criterio, quando su 270 Paesi sovrani al mondo, 180 hanno la libertà e ne elenca qualcuno (fra cui l’Italia). Poi si rivolge alla studentessa apostrofandola in modo un po’ sprezzante come “sorority girl” (una ragazza che fa parte di una associazione universitaria femminile), e che io traduco qui come “signorina”:
E lei, signorina, nel caso in cui accidentalmente un giorno capitasse in un seggio elettorale, ci sono delle cose che dovrebbe sapere. Una di queste è che non c’è assolutamente nessuna prova a sostegno dell’affermazione che siamo il più grande Paese al mondo. Siamo settimi in alfabetizzazione. Ventisettesimi in matematica. Ventiduesimi in scienze. Quarantanovesimi nell’aspettativa di vita. Centosettantanovesimi in mortalità infantile. Terzi nel reddito familiare medio. Al numero quattro nella forza lavoro e al numero quattro nelle esportazioni. Siamo al primo posto al mondo solo in tre categorie: numero di cittadini incarcerati pro capite, numero di adulti che credono che gli angeli siano reali, e spese per la difesa, dove spendiamo di più dei più vicini ventisei Paesi combinati, venticinque dei quali sono alleati.
Ora, niente di questo è colpa di uno studente di college di vent’anni, ma lei è nondimeno senza dubbio un membro della peggiore, punto, generazione, punto, di sempre, punto. Perciò quando chiede che cosa ci rende il Paese più grande al mondo, non so di che cazzo stia parlando. Di Yosemite?  
[Silenzio]
Certo, lo eravamo. Lottavamo per ciò che era giusto. Combattevamo per ragioni morali. Passavamo leggi, annullavamo leggi, per ragioni morali. Dichiaravamo guerra alla povertà, non ai poveri. Facevamo sacrifici. Ci importava dei nostri vicini. Sostenevamo con il denaro quello in cui dicevamo di credere. E non ci battevamo mai il petto.
Abbiamo costruito grandi cose, fatto avanzamenti tecnologici pazzeschi, esplorato l’universo, curato malattie, e abbiamo coltivato i più grandi artisti al mondo e l’economia più grande al mondo. Siamo arrivati alle stelle. Abbiamo agito come uomini.
Aspiravamo all’intelligenza. Non la sminuivamo – non ci faceva sentire inferiori.
Non ci identificavamo sulla base di chi avevamo votato alle ultime elezioni, e non ci, oh, non ci spaventavamo così facilmente.
Siamo stati in grado di essere tutte queste cose e di fare tutte queste cose perché eravamo informati. Da grandi uomini. Uomini che erano riveriti.  
Il primo passo nel risolvere ogni problema è riconoscere che ce n’è uno. L’America non è più il più grande Paese al mondo.
È sufficiente?

Come si scrive un copione alla Aaron Sorkin? Lui stesso risponde, facendo una brevissima analisi di questo dialogo-monologo. Lo trovate qui. Sotto trovate il video della scena in questione.

4 commenti:

  1. mi incuriosisce un sacco ma non l'ho ancora vista.
    aspetto che qualche anima pia realizzi i sottotitoli italiani. se proprio nessuno li farà, me la vedrò in originale...

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  2. A me il pilot è piciuto, ma non ha fatto impazzire. Non mi è mai capitato di dire "WOW". E' puro Sorkin, ma non ha realizzato nulla che non gli abbia visto fare altrove, per ora. Veniamo come continua. Ai critici americani sono state mandate in visione preventivamente le prime quattro puntate. La critica del New Yorker ha detto che è stato un calo costante. Bianculli ha detto l'opposto, che migliora ad ogni puntata. Staremo a vedere.

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  3. non ho fatto in tempo a chiedere i sottotitoli che sono arrivati...
    appena visto e io invece mi sono davvero entusiasmato. l'inizio con l'america non è il paese più grande del mondo è favoloso, ma anche il resto mi è sembrato ottimo.
    i dialoghi velocissimi di sorkin sono ancora meglio del solito.
    per me uno dei migliori pilot degli ultimi anni!
    ok, sono stato troppo entusiasta :D

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  4. Bene, bene. Mah, non è che il monologo mi sia dispiaciuto, ma la seconda parte è stata un po' troppo da "laudator temporis acti" per i miei gusti. C'è molta energia in ogni caso. Sicuramente lo seguirò, Sorkin non mi delude mai, ma non sono stata del tutto convinta rispetto ai suoi lavori precedenti. Lui è comunque sempre tre spanne sopra agli altri.

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