martedì 3 luglio 2012

CONFESSIONE REPORTER: da andarne fieri


Solitamente “Italia1” e “giornalismo” non sono un binomio che dia aspettative di approfondimento serio e rigoroso, conditi come sono i telegiornali della rete di notizie frivole. Uno deve ricredersi guardando Confessione Reporter, uno spazio settimanale con Stella Pende in otto puntate  (domenica, seconda serata) di cui si può andare autenticamente orgogliosi: per il livello dell’approfondimento e la serietà dei temi trattati, e perché accompagna alla realtà che descrive un ulteriore esplicito livello di riflessione e spiega la professione di reporter.
Siamo mostri o vampiri che rapinano il dolore e le emozioni dei più deboli? Esiste una misura nell’essere giornalista? E quale è? Queste sono domande che ci si è posti già al debutto avvenuto a fine maggio. Una delle risposte che sono emerse è che il senso è forse quello di restituire umanità ai soggetti con cui si viene a contatto, le cui storie si raccontano, persone che diversamente non hanno voce. Fanno un elenco anche: poveri, gente in Paesi lontani e in guerra, matti, ciechi, neri, omosessuali, lebbrosi, rom…
La prima puntata è andata in Afghanistan fra bambine e donne sfruttate, picchiate, violentate, torturate. Storie crude, storie vere. Storie che è stato difficile guardare, che lasciano a disagio e che forse uno non ha nemmeno troppa voglia di vedere, e forse anche per questo è bene che vengano mostrate. Un segmento è un “reportage d’autore”, inteso come un servizio realizzato da nomi illustri (Moni Ovadia, Cesare Prandelli, Dominique Lapierre…) prestati per l’occasione al mestiere. E via Skype, in chiusura di puntata, si ascolta una testimonianza di qualcuno di Medecins Sans Frontieres.

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