martedì 17 luglio 2012

IL TRONO DI SPADE: la seconda stagione è una rilfessione sul potere


Continuo a pensare che sia ignobile che, pur essendo una serie TV, sul satellite italiano trasmettano “Il Trono di Spade” su Sky Cinema e non all’interno del pacchetto di reti dedicato ai telefilm. La sola ragione che riesco a immaginare è che lo facciano perché sanno che la saga ha moltissimi appassionati che, se vogliono seguirla, si vedono costretti a fare un abbonamento che diversamente potrebbero evitare.
Se il mantra della prima stagione è stato “L’inverno sta arrivando”, quella di questa seconda stagione è stata “La guerra sta arrivando” e non per niente il superlativo sottofinale (“L’assedio”, 2.09) ha avuto una scena di praticamente mezza puntata con una spettacolosa epica battaglia alla “Enrico V”. Le vicende tratte dai libri di Martin, anche sceneggiatore dell’episodio appena citato, continuano ad essere fra quanto di meglio il piccolo schermo abbia da offrire, anche se c’è stato un calo rispetto al primo capitolo, forse per la difficoltà di seguire così tanti personaggi e il poco tempo di approfondire quelli nuovi.
Caratteristica è stata ancora una volta la fusione da un lato della sanguinolenta e feroce barbarie che siamo abituati ad associare al mondo medievale (le torture legate alla storia di Arya, il sadismo del re adolescente Joffrey), dall’altro delle sottigliezze intellettuali e psicologiche e i certosini intrighi alla Shakesperiana maniera (Tyrion, il ragno tessitore, Ditocorto). Con i vari regni in guerra e i rispettivi re in lotta per la conquista del trono, questa stagione è stata una vera e propria riflessione sul potere, praticamente per ogni personaggio (si pensi anche solo a Khaleesi). Una citazione per tutte: “il potere risiede lì dove gli uomini credono risieda. È un trucco, un’ombra sulla parete. E un uomo molto piccolo può proiettare un’ombra molto lunga”.
L’ultima puntata si è aperta con l’occhio di Tyrion (Peter Dinklage), ferito in battaglia, che si apre. È davvero difficile ormai vedere un’inquadratura del genere e non pensare a Lost. Ho molto apprezzato perciò la regia di Alan Taylor  che ha saputo rinnovare un’immagine così pericolosa perché “consumata” concentrandosi sulla pupilla. Purtroppo invece è stata deludente, nel paragone con un antecedente, la scena in cui Shae (Sibel Kekilli) toglie dal volto la benda a Tyrion. Non può non richiamare la celeberrima scena degli anni ’80 di Days of Our Lives – Il tempo della nostra vita in cui Kayla (Mary Beth Evans) toglie la benda dall’occhio di Steve “Patch” Johnson (Stephen Nichols). Purtroppo in questo caso, Game of Thrones non regge il paragone.

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