giovedì 17 novembre 2011

GRIMM: un procedurale sovrannaturale deludente


In Grimm - la serie partita alla fine di ottobre sull’americana NBC, titolo che fa riferimento tanto alle fiabe dei fratelli Grimm, quanto al fatto che grim in inglese significa “cupo” - Nick Burkhardt (David Giuntoli) è un poliziotto della omicidi di Portland che comincia a vedere dei mostri nei volti di alcune delle persone che incontra. Messa alle strette dalla situazione, la zia morente (Kate Burton), che gli ha praticamente fatto da madre, gli rivela che quando ha perso i genitori è perché erano stati uccisi e che lui è un Grimm, un veggente in grado di riconoscere e combattere creature mitologiche di varia natura che costituiscono una minaccia per l’umanità. Finisce per conoscere un “lupo mannaro” “riformato” che lavora come orologiaio, si mantieni in forma con il pilates e cerca di aiutarlo come può,  Monroe (Silas Weir Mitchell), e per risolvere i casi grazie alle sue doti, cercando di non far insospettire nè il suo collega  Hank (Russell Hornsby), né la sua fidanzata Juliette (Bitsie Tulloch).
Il primo episodio è stato ispirato a cappuccetto rosso, con una universitaria uccisa mentre era andata a far jogging nel bosco con una felpa rossa, e poi con una bimba rapita che pure aveva un indumento con cappuccio rosso. La puntata esordisce proprio con una citazione: “Il lupo pensò fra sé e sé, che tenera giovane creatura, che bel bocconcino - (I fratelli Grimm, 1812)”.  
Ideato da Stephen Carpenter, David Greenwalt (Angel, Buffy, X-Files) e Jim Kouf (Ghost Whisperer, Angel), questo procedurale sovrannaturale delude perché è molto blando e generico, privo di forti caratteristiche visuali e anche abbastanza piatto da un punto di vista umano. Nick non si pone tanti problemi alla rivelazione dei suoi poteri e del suo nuovo ruolo, ma si rinchiude in una roulotte a cercare di comprendere vecchi tomi e disegni. Qui e lì si vede che si è stati a scuola da Angel, anche nel pizzico di umorismo che Monroe riesce a dare, ma la lezione non è stata fatta propria.
Si chiamano in causa le favole in un momento in cui vanno per la maggiore (in Italia abbiamo avuto Cenerentola, e al cinema, ricorda Mike Lechevallier su Slant Magazine, ci sono stati due film che traggono ispirazione dai fratelli Grimm, Hanna di Joe Wright e Drive di Nicolas Winding Refn). Allo stesso tempo si ripete che “questa non è una favola” , dichiarando cioè che c’è un fondo di verità in quello che questi racconti narrano, ma non si abbraccia lo spirito e il valore di questo genere letterario, né si riesce a reinterpretarlo per costruire qualcosa di nuovo e vitale, come sta facendo l’eccellente Once Upon a Time.

1 commento:

  1. non ha convinto nemmeno me..
    tutto già visto!
    se sarò generoso gli concederò una seconda possibilità, ma il pilot era davvero scarso

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