sabato 30 aprile 2011

UN PASSO DAL CIELO: troppo pedagogico-didascalico



In Un passo dal cielo (Rai1, domenica, prima serata) Terence Hill interpreta Pietro, il capo di una squadra del Corpo Forestale di stanza a San Candido, un paesino delle Dolomiti, in alta Val Pusteria (in Trentino Alto Adige) – le prime immagini della nuova serie prodotta da Lux Vide e RaiFiction sono proprio quelle di una carrellata dall’alto di montagne e boschi. È anche un campione di alpinismo, è vedovo e ha perso la moglie durante una scalata insieme a lui. L’hanno trovata in fondo a un crepaccio e lui è pure stato sotto processo per questo, ma (almeno all’inizio) non ricorda come sia avvenuto l’incidente e continua ad avere incubi in proposito. Come in passato per altri personaggi interpretati dall’attore, è un po’ il punto di riferimento per tutta la comunità, un brav’uomo pacato e affidabile che con cautela e perizia, e una buona conoscenza del territorio dove vive, arriva alla verità delle indagini in cui si trova coinvolto: un omicidio, un rapimento...
Purtroppo, così come la serie tutta, tende a essere anche un po’ troppo smaccatamente pedagogico-didascalico, un vezzo che si poteva accettare nei vari Lessie, Rin tin tin e Furia di anni addietro, ma che oggidì suona paternalistico, a meno di non essere specificatamente pensato per un pubblico di bambini. L’eroe che raggiunge il bracconiere che ha appena sparato a un cervo e gli tira un pugno, e che commenta la propria azione dicendo che così ora sa come si sente l’animale, che la riserva è di tutti, anche sua, e che in Africa è permesso sparare alle persone come lui – cosa avvenuta nella prima puntata, quando si è presentato il personaggio – suona un po’ da risibile spacconata, anche nobile nel contenuto, ma patetica da un punto di vista della sceneggiatura. Lo stesso accade nella spiegazioncina finale a chiusura dei casi, nei quali un primo piano è riservato ai temi dell’ambiente, degli animali e dell’ecologia.
Accettata questa premessa, è anche gradevole, con quel solito leggero umorismo all’italiana, assicurato qui in particolare dal il commissario Vincenzo Nappi (Enrico Ianniello), un poliziotto in trasferta da Napoli, a cui manca la sua città e la sua ragazza, Marcella (Valentina D’Agostino), con cui si tiene in contatto in videochiamate via Internet, e che si trova bizzarramente catapultato in una realtà completamente diversa dalla sua e inaspettata e oppone un po’ di resistenza all’apparente cameratismo (dividono anche il quartier generale) fra quelli della polizia e della forestale. Virate a un delicato umorismo sono da subito proprio le sue interazioni con un assistente della polizia, Huber (Gianmarco Pozzoli), che cita strane massime (meglio un uovo in pace che una gallina in guerra) e che non si formalizza, e con la veterinaria della forestale, la dottoressa Silvia Bussolati (Gaia Bermani Amaral) che lui crede una dottoressa per esseri umani in prima battuta (con il prevedibile equivoco di credere una mucca una paziente umana, da nome) e che se la vede comparire con al seguito un asino con il collare elisabettiano, se lo richiedono le necessità dell’animale (1.01). L’ex-boscaiolo “Roccia” (Francesco Salvi), che ha una figlia cieca, Chiara (Claudia Gaffuri), fa da braccio destro di Pietro, e sua sorella Assunta (Katia Ricciarelli), “Radio Assunta” come la chiama il fratello, è un modello di virtù domestiche che impiega come proprietaria di una malga ed è bonariamente impicciona. Pietro prende sotto la propria ala protettiva il nipote ribelle e sempre nei guai Giorgio (Gabriele Rossi, Tutti Pazzi per Amore 2) che viene messo al lavoro per essere “riformato”. Il paesaggio, calmante e lussureggiante, pure è da considerarsi un personaggio.
Forse sono stata mal disposta io, perché la recitazione mi è sembrata mediocre, sebbene accettabile, e genericamente più solida per i comprimari. La serie, ideata da Salvatore Basile, ha 12 puntate.

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